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20 Febbraio 2019

Vivere d'amore a Parma? - Capitolo 1

Scritto da Redazione Openddb in 

L'esperienza del film D'amore si vive di Silvano Agosti nella Parma del 1983

Capitolo 1: una ricerca

D'amore, si vive? O meglio, se non di amore, di che cosa allora si vive?

Questo il quesito che sembra porre indirettamente la ricerca filmata D'amore si vive di Silvano Agosti: di cosa si vive. Di amore? E che cos'è l'amore? Cos'è la tenerezza? E la sessualità? L'abile scelta del titolo, seppur in forma affermativa, nasconde in realtà l'ambiguità dell'interrogazione. Ognuno degli intervistati fornisce una parte di risposta, ciascuno per ciò che gli è proprio a seconda delle storie: una giovane madre, una donna che rifiuta il suo stesso corpo, una giovane tossicodipendente, una ex prostituta, un transessuale, un travestito, un ragazzo con la sindrome di Down. Ma solo nel complesso, incatenati l'uno all'altro, solo così, con il dispiegarsi di ogni storia, affiora allora in noi spettatori l'impressione di aver assistito a una sorta di rivelazione. D'amore si vive mostra, non dice. E svelando qualcosa di profondamente intimo della vita di quei personaggi, ci accorgiamo infine che quel qualcosa appartiene profondamente anche a noi.

La realizzazione del film D'amore si vive impegnò il regista Silvano Agosti per quattordici mesi, dal 1981 al 1983, durante i quali l'autore intervistò decine di abitanti della città di Parma, sui temi dell'amore, della tenerezza e della sessualità. I sette personaggi presentati nel film, così come lo possiamo vedere oggi, costituiscono però solo una minima parte di quel grande capitale umano che prestò il proprio volto, e le proprie storie, alla ricerca dell'autore accettando con coraggio di raccontare episodi intimi della vita personale e delle relazioni sentimentali.

Probabilmente l'unico grande precedente a un'operazione di questo tipo è quel fondamentale documento storico realizzato da Pier Paolo Pasolini con il suo documentario Comizi d'amore (1963). Agli inizi degli anni '60 Pasolini intraprese un viaggio in Italia, da sud verso nord, intervistando decine di persone con l'obiettivo di fornire uno spaccato della società italiana. Il linguaggio e le modalità utilizzate furono quelle tipiche dell'inchiesta giornalistica. Egli interpellò cittadini italiani appartenenti a tutte le estrazioni sociali con domande frontali, dirette e spiazzanti, riguardanti principalmente i temi del matrimonio, del divorzio, della sessualità maschile e quella femminile, della repressione degli istinti. Fondamentali ai fini dell'indagine furono anche gli apporti di alcuni intellettuali dell'epoca, tra i quali Moravia e Musatti, i quali si espressero sugli stessi argomenti e sul valore della ricerca stessa.

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D'amore si vive persegue un obiettivo totalmente differente. Il proposito di Silvano Agosti non è affatto quello di documentare usi e costumi della cultura italiana agli inizi degli anni '80, né tanto meno quello di condurre un'indagine sociologica che possa pervenire a un risultato, preciso e convincente, da estendere alla totalità degli italiani. A Silvano non interessa la totalità, la generalizzazione, ma la singolarità degli intervistati. Non certo comizi quindi, quelli di Silvano, ma vere e proprie conversazioni dove la macchina da presa si fa così vicina da eliminare ogni distanza, fisica e emotiva, che separa lo spettatore dai personaggi rappresentati. Inoltre, il campo di indagine è assolutamente circoscritto: la città di Parma. Ma perché proprio Parma?

A queste date, Parma non era affatto una città sconosciuta per Silvano. Qualche anno prima infatti, assieme a Marco Bellocchio, Franco Petraglia e Stefano Rulli, aveva realizzato il documentario Matti da slegare (1974) girato nel manicomio di Colorno, a qualche chilometro di distanza dal centro della città. In quell'occasione la ricerca dei quattro autori si concentrò sulle tesi anti psichiatriche di Franco Basaglia, il quale promuoveva l'eliminazione dei manicomi e l'inclusione sociale dei malati psichiatrici. Il lavoro venne commissionato dall'assessorato alla sanità del Comune di Parma, incarnato nella figura dell'assessore Mario Tommasini, con l'intento di mostrare la vita all'interno del manicomio per la prima volta dalla parte dei “pazienti”.

Fu proprio Tommasini, a detta di Silvano, l'ispiratore anche di D'amore si vive: <<col quale, [Tommasini] un giorno, stavo osservando i giovani di Parma e dicevo: “Ma come mai sono così mesti? Come mai non si accarezza mai nessuno per strada? Nessuno che si tiene per mano? Ogni tanto si vedono due che si baciano, ma così tanto per... Ma non c'è una cultura della tenerezza? Sai Mario, forse hanno paura dei sentimenti, facciamo una ricerca sui sentimenti.”>> (Macis, p. 262)

E infatti D'amore si vive più che un film è una ricerca, un materiale prezioso organizzato come un film ma che, come si legge sul dépliant informativo distribuito durante la proiezione in anteprima, nasce come un <<primo tentativo di proporre una discussione più ampia sui temi come la tenerezza, la sessualità e l'amore>>. Un'inchiesta che vuole proporre una discussione e che, attraverso l'intervista, cerca di restituire un ventaglio quanto mai ampio di esperienze di amore, evitando qualsiasi impostazione a tesi ideologica.

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Il risultato di questa lunga indagine fu un consistente materiale, costituito di quarantasei ore di girato, organizzato in tre versioni: una prima definita analitica di nove ore, una seconda versione divulgativa di quattro ore e mezza, e una infine ridotta di due ore e un quarto. La restituzione della ricerca venne realizzata attraverso proiezioni distribuite in più giorni che permisero di visionare, probabilmente, l'intero girato. Le proiezioni vennero pensate con l'accompagnamento del dibattito e della lettura collettiva, a conferma del carattere analitico e d'indagine che l'autore si propose fin dal principio, mirando così a creare un appuntamento di riflessione partecipativa aperto all'intera cittadinanza.

A distanza di anni, in un contesto profondamente mutato, D'amore si vive appare a noi ancora oggi dotato di una forza dirompente, per la profondità delle testimonianze, per la poesia delle immagini, per la forza disarmante di quegli sguardi, poiché la dignità delle storie e delle persone rimane, in fin dei conti, senza tempo.

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Scritto da Sara Barbuti per Redazione Openddb. (Fase preparatoria per sviluppo di tesi di laurea magistrale in "Storia e critica delle arti e dello spettacolo" - Università di Parma)  

Note:

-P. Masala, A. Macis, Immagini in libertà. Il cinema in esilio di Silvano Agosti, a cura, CUEC Editore, Cagliari, 2001.

-Gli articoli riportati sono pubblicati in La Gazzetta di Parma del 22 aprile 1983 e 25 aprile 1983. Si ringrazia l'Emeroteca Comunale di Parma.