Dopo l’oscuramento della nostra pagina Facebook, avvenuta il
12 ottobre in seguito a presunte “violazioni degli standard della comunità”,
ieri sera abbiamo ricevuto diverse mail attraverso cui il social network ci
informava che la rimozione dei contenuti “è stato un errore” e per
questo venivano nuovamente pubblicati, il tutto con le scuse ufficiali.
Nei giorni immediatamente successivi al nostro “oscuramento”, decine di
pagine di movimento, attivisti e testate di informazioni venivano bannate
con la comune accusa di sostenere la causa curda, di aver preso posizione
contro l'aggressione della Turchia contro la Siria del Nord, di diffondere informazioni
e aggiornamenti sull'evolversi del conflitto denunciando i crimini di guerra
compiuti da Erdogan contro la popolazione civile.
Uno “stillicidio” di pagine certamente non casuale, chiaramente coordinato e
che, siamo convinti, vada ben oltre la “policy” di Facebook che cela dietro una
presunta “neutralità” della piattaforma, la volontà di non consentire contenuti
non allineati con quelle che sono le indicazioni che arrivano dai governi
(basti pensare che la Turchia di Erdogan ha il primato per richieste di
cancellazioni dai social network) o su basi specifiche come ad esempio avviene
per la classificazione delle “organizzazioni terroristiche” che segue quelle
che sono le liste stilate dal dipartimento USA.
Oggi la nostra pagina torna pubblica, molte altre ancora no, ma il problema è
ben lontano dall'essere risolto. Come molti, abbiamo ritenuto Facebook uno
strumento efficace per riuscire a far giungere le informazioni che pubblicavamo
sulla nostra pagina ad un pubblico il più ampio possibile, al netto di tutte le
contraddizioni insite nell'essere “dentro” il sistema di una società privata
che ha serenamente ammesso pubblicamente “We run ads”. Tre semplici
parole che racchiudono la natura di Facebook, quella di monetizzare attraverso
utenti, like, condivisioni, informazioni.
Il re è nudo.
Siamo certi che quasi tutte le pagine bannate torneranno online. Ma non è una vittoria, è una presa di coscienza. Dobbiamo riflettere tutti e tutte sulla necessità non solo di trovare strumenti alternativi di comunicazione indipendente (che di fatto già esistono, come il bellissimo progetto Mastodon, cui siamo onorati, nel nostro piccolo, di partecipare), ma di riuscire a farli crescere tutti insieme per poter raggiungere più persone e comunità possibili, creando reti di comunicazione dal basso e indipendenti dal sistema mainstream.
È una sfida che dobbiamo provare a cogliere consapevoli delle difficoltà che questo comporta.
Ma siamo certi che possiamo vincerla tutte e tutti insieme.
Gli aggiornamenti dal Rojava che resiste continueranno sulla pagina del nostro blog.